L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Carlo Verdone gira un film ogni due anni. Ha cominciato nel 1979, con “Un sacco bello”, da allora non s’è più fermato. Ma ogni tanto ha compiuto un piccolo strappo, per non fossilizzarsi e ripetersi, pure per mettersi in gioco. Rientra nella categoria “L’abbiamo fatta grossa”, che esce giovedì 28 gennaio a tappeto, in 850 copie, targato Filmauro, con l’ambizione legittima di piacere a tutti e incassare bei soldini, non di rivaleggiare con i numeri stupefacenti di Checco Zalone (62 milioni di euro). Spiega infatti il comico romano, oggi sessantacinquenne: «Volevo fare un film in piena libertà, senza ripercorrere i temi delle mie ultime commedie: padri separati, ambienti alto-borghesi, figli problematici, amori tormentati, donne impossibili… Questa è una specie di favola sotto forma di noir: si ride, c’è un po’ suspense, un finale con un accenno di critica sociale, di costume». Un attimo per riprendere fiato dopo le 93 interviste rilasciate lunedì a Napoli per far contento il produttore Aurelio De Laurentiis: «Sapete, io debbo sterzare ogni tanto, se non l’avessi fatto una prima volta con “Compagni di scuola” probabilmente oggi non sarei qui a lavorare ancora, da 37 anni. Mai stato un “geometra” della risata».
“L’abbiamo fatta grossa”, opus n. 25 da regista, è una commedia di quelle che gli americani chiamerebbero “buddy buddy”: all’insegna dell’amicizia litigiosa, cameratesca, con due personaggi dello stesso sesso che all’inizio si detestano e poi dividono tutto, gloria e sfortune. Non una novità assoluta per Verdone, vien da pensare a “I due carabinieri”, “C’era un cinese in coma” e “Il mio miglior nemico”, ma qui c’è Antonio Albanese a fare la differenza. I due attori, così diversi sulla carta per vis comica e tecnica espressiva, in realtà si sono subito presi sul set, ne è nata una sintonia professionale che prevede nuovi sviluppi artistici.
«Ogni giorno con lui, sul set e dopo, è stato un piacere. Mi piacerebbe dirigerlo da regista, per sfiancarlo: quando è stanco Carlo fa molto ridere» confessa il milanese. «Siamo diventati molto amici, c’è un rispetto vero tra noi, nessuno ha mai scavalcato l’altro durante le riprese» conferma il romano.
A farla grossa, nella storia ambientata a Roma, sono due poveri cristi, piuttosto sfigati, che si ritrovano dentro una storia più grande di loro. Arturo Merlino, cioè Verdone, è un ex carabiniere che tira a campare facendo l’investigatore privato: vive con l’anziana zia svanita e recupera perlopiù cani e gatti scappati di casa. Yuri Pelagatti, cioè Albanese, è un attore teatrale di bassa caratura che accusa in scena totali vuoti di memoria: la bella moglie l’ha mollato e ora lui vuole sapere se lei ha un amante. Avete capito, insomma. I due destini balordi si intrecciano con esiti inattesi, a causa di una valigetta, piena di banconote da 500 euro e non di antiche foto compromettenti, sottratta maldestramente per uno scambio di persona. Quei soldi appartengono a un potente senza scrupoli con la grinta e la faccia di Massimo Popolizio, e ora sono guai per Arturo e Yuri.
La strana coppia è un classico del cinema, infatti Verdone cita, tra i preferiti, Walter Matthau e Jack Lemmon. Il film, scritto con Pasquale Plastino e Massimo Gaudioso, sfodera un incipit molto divertente, infila continui colpi di scena e approda a un mezzo lieto fine con pernacchia a sorpresa. Magari qualche sforbiciata avrebbe reso il ritmo più incalzante, ogni tanto si ha la sensazione che i due attori, per strappare la risata, ricorrano al loro consolidato repertorio di gag, ma Verdone è soddisfatto così. Un cronista gli chiede, dopo l’anteprima romana, se non abbia esagerato con le parolacce, in effetti un po’ insistite, ripetute. Lui: «Non erano scritte nel copione, ci venivano naturali nei duetti, girando. Però è vero, ci sono due o tre “cazzi” di troppo. Oggi starei più attento, ti chiedo scusa». Be’, non capita tutti i giorni.
Occhio alla scritta sui titoli di coda, che pare riassumere il senso della commedia buffa: «I personaggi sono immaginari, autentica è la realtà che li produce». Dietro il tono burlesco, si profila insomma un’Italia «un po’ matta e un po’ morta di fame» destinata a soccombere nel confronto con politici corrotti e istituzioni ipocrite. Non per niente, tra una citazione dall’ “Otello” di Shakespeare, un omaggio a Peter Sellers e una parodia di “Gomorra”, emerge un riflesso malinconico, di acquietata saggezza, che Verdone, affidandosi alle parole del prediletto Seneca, ha fissato su Facebook. «Lucilio caro, metti a frutto ogni minuto. Sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l’altro la vita se ne va. Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro». Già.

Michele Anselmi