L’angolo di Michele Anselmi
Gli sospira in sogno il fantasma del padre Mario: “Carlo, nella vita come nella commedia lascia sempre un po’ di spazio alla poesia”. E di lì a poco anche una specie di saggio/barbone, incontrato su una panchina di Villa Borghese, gli dirà qualcosa di simile prima di scomparire nel nulla. Domani, venerdì 15 settembre, parte su Paramount+ (non più su Prime Amazon) la seconda stagione di “Vita da Carlo”: sono altri dieci episodi di circa 28 minuti l’uno, così distribuiti: tre subito, tre la settimana successiva, quattro alla fine.
La serialità potrebbe sembrare un ripiego rispetto alle ambizioni di un film per il grande schermo, ma credo invece che il 72enne Verdone, dopo il tribolato “Si vive una volta sola”, abbia trovato in “Vita da Carlo” un contenitore ideale per mettere in scena sé stesso, tra autobiografia e reinvenzione, distillandovi dentro i temi più cari, anche legati all’età e al tempo che passa.
“Sento il peso degli anni che vanno avanti, avverto la stanchezza” sospira in un momento di sconforto; e ancora: “Bisogna lasciar perdere le cose quando non c’è più nulla fare”. Ma non è solo pessimismo senile quello che si riflette in “Vita da Carlo 2”, perché poi, nell’arco dei dieci episodi, tre diretti da lui (prima, seconda e decima), sette dal giovane Valerio Vestoso, si ride parecchio, forse più che nella prima serie, come se Verdone avesse trovato “la giusta distanza” per mettersi in scena: senza infingimenti e insieme senza lagne.
Chi conosce Verdone sa che dice troppi sì, spesso facendosi coinvolgere, per sensibilità, anche rispetto verso i suoi fan, in situazioni buffe che possono ritorcersi contro. Succede anche qui, due volte, la prima delle quali – un presunto “miracolo” con guarigione – irrita perfino un potente cardinale, e si sa quanto sia complicato/stretto il rapporto con la Chiesa cattolica, sin dagli studi liceali al Collegio del Nazareno (c’è una scena molto spassosa durante una rimpatriata in quei locali austeri).
La linea orizzontale del racconto riguarda un film da fare, tratto da uno dei capitoli migliori del libro “La carezza della memoria”. Laddove si rievoca il tenero e imbarazzato rapporto che nei primi anni Settanta nacque, dopo la visita a un bordello, tra il poco più che ventenne Carlo e una giovane prostituta, detta Maria Effe, già madre. Il colorito produttore Ovidio Cantalupo, una specie di Aurelio De Laurentiis all’ennesima potenza, non vorrebbe farlo, anche perché Carlo stavolta vorrebbe solo dirigere; ma poi ingaggia un cantante vicentino alla moda pieno di followers, è il vero Sangiovanni nel ruolo di sé stesso, perché incarni Verdone in quella storia così struggente, anche finita male.
Sembra il modo migliore per uscire da una sorta di impasse creativa, e invece la preparazione del film si trasformerà in un tormento un po’ “morettiano”, mentre tutto si complica nella vita del comico.
Per dire: la fedele governante Annamaria si fidanza con un ammiraglio in pensione e si trasferisce da lui; la figlia incinta, non si sa chi sia il padre, forse un coreano, si fa arrestare per il suo impegno ecologista e non vuole più vedere il maldestro fidanzato Chicco; l’amico Max in preda a una crisi di nervi (inghiotte l’auricolare al posto di una pillola) perché chiamato a Hollywood a fare tre pose nella serie “Fargo”; una bella e rischiosa scrittrice per l’infanzia, Sofia, gli sconvolge la vita sul piano sessuale, esponendolo a corvée micidiali vestito da Yeti, eccetera.
S’intende che, in aggiunta ai personaggi della prima stagione, Verdone e i suoi co-sceneggiatori Pasquale Plastino, Ciro Zecca, Luca Mastrogiovanni ne inventano di nuovi, per arricchire il contesto corale; tra questi c’è il vero Fabio Traversa, ovvero il mitico Fabris di “Compagni di scuola” che nessuno riconosceva alla festa, sempre più smunto e risentito verso Verdone, forse deciso a prendersi una rivincita alla maniera di “Oscar insanguinato”, con una punta di Fritz Lang.
Fitto di comparsate in amicizia, da Christian De Sica a Claudia Gerini, da Gabriele Muccino a Zlatan Ibrahimovic, “Vita da Carlo 2” ha il merito, in virtù della pezzatura lunga, di giocare sui registri più diversi: la commedia di ambiente altoborghese, l’affondo burino/dialettale, la malinconia senile, le sorprese dell’esistenza, la poesia intesa come piccolo antidoto privato al cinismo diffuso e miserabile. Qualche puntata risulterà meno brillante, ma fa parte del gioco.
Chi s’era divertito con i personaggi precedenti li ritroverà pressoché tutti, interpretati dagli stessi attori: Max Tortora, Maria Paiato, Monica Guerritore, Claudia Potenza, Filippo Contri, Antonio Bannò, Stefano Ambrogi; tra le new-entries ci sono Stefania Rocca, Corrado Solari, Mita Medici e Ludovica Martino.
A novembre Verdone comincia a girare la terza stagione. A quanto pare dovremo attendere parecchio prima di vedere un suo film per il cinema. D’altronde non tira una buona aria per i titoli italiani al box-office e quindi, forse, meglio scegliere altre strade.
PS. La battuta ricorrente è: “Il colon degli artisti è sempre irritato”.
Michele Anselmi