La seconda prova come regista di Madonna, dopo Sacro e profano nel 2008, pone al pubblico alcune riflessioni molto interessanti: a cosa siamo costretti a rinunciare quando decidiamo di consumarci in un rapporto d’amore totalizzante? Qual è il prezzo che si paga se, per vivere una relazione sentimentale, dobbiamo modificare radicalmente il corso della nostra esistenza?

Per tentare di rispondere a questi interrogativi, la regista sceneggia, assieme ad Alek Keshishian, la storia vera di Edoardo VIII, erede designato al trono d’Inghilterra che, negli anni precedenti lo scoppio del secondo conflitto mondiale, abdicò alla corona inglese pur di unirsi in matrimonio con Wallis Simpson, un’americana sposata, con un divorzio alle spalle, di sangue non nobile e non particolarmente bella, ma dotata di gusto impeccabile e fascino indiscutibile. La storia d’amore tra Wallis e Edward viene immaginata e ripercorsa dal personaggio interpretato da Abbie Cornish, una donna infelicemente sposata che, nella New York contemporanea, si lascia sedurre da un giovane russo conosciuto in una casa d’aste.

Purtroppo non basta proporre una riflessione interessante a sostenere un film insopportabilmente lungo, mal strutturato e fastidiosamente ripetitivo. L’architettura visuale si struttura in un’alternanza continua di sinuosi movimenti della macchina da presa, negli interni sontuosi in cui è ambientata la pellicola, a primi e primissimi piani di dettagli fuori fuoco, nella ricerca ossessiva di una perfezione formale che, in diversi passaggi, appare inutile e fuori luogo; anche la suadente colonna sonora del compositore polacco Abel Korzeniowski viene usata in maniera ossessiva, aggiungendo un lirismo che, in due ore di proiezione, invece che amplificare il senso della drammaturgia, ne appiattisce tono e contenuti in un continuum uniforme e indistinto. Forse è per spezzare quest’asfissiante eleganza formale che, ex abrupto, viene inserito un numero di ballo ripreso con un’estetica da videoclip?

Anche se fosse possibile derubricare questi errori ad ingenuità da regista alle prime armi, rimarrebbe comunque imperdonabile il lavoro di sceneggiatura: in un film che vorrebbe essere una meditata analisi sull’intelligenza e la forza delle donne, a risultare completamente assenti sono proprio le motivazioni del personaggio principale, quella Wallis interpretata con bravura da una diafana Andrea Riseborough: il suo personaggio, infatti, sembra legarsi al futuro re d’Inghilterra per assecondare un mero desiderio di ascesa sociale. Non basta una corsa spensierata su una spiaggia a spiegare un amore che è andato contro ogni convenzione, e l’impressione che se ne ricava è che la Simpson sia stata una donna che, in nome di una vacua apparenza, ha sacrificato ogni cosa per puro capriccio. Risultato? La protagonista risulta antipatica e superficiale, elegante ma vuota, proprio come il film che ne racconta le vicende.

Marco Moraschinelli