L`angolo di Michele Anselmi | Pubblicato su Il Riformista

Girando un film all’anno, magari pure troppi, Woody Allen ne azzecca uno sì e uno no. Già un’ottima media, s’intende. Ma era da tempo che il cineasta newyorkese non appariva baciato da un simile stato di grazia. Venerdì esce in 350 copie, targato Medusa, “Midnight in Paris”. A prima vista sembrerebbe l’ennesima commedia “turistica”, una delle tante firmate da Allen di recente vagando qua e là per l’Europa in cerca di finanziamenti. Non è così: racchiuso nella misura aurea di 94 minuti, il film è un piccolo capolavoro che custodisce, sotto la cornice da “divertissement” parigino, un palpito malinconico, forse nostalgico ma per nulla senile, anche una riflessione sulla percezione che ogni generazione, non solo artistica, ha della cosiddetta età dell’oro, unica e irripetibile. 

C’è da augurarsi che la regola – un film buono e uno bruttarello – sia smentita dal prossimo, quel “Nero Fiddled”, già “Bop Decameron”, da Allen girato la scorsa estate a Roma in un tripudio di cene e feste, neanche fosse una Madonna pellegrina. Chi l’ha visto, assicura che è parecchio divertente. Bene. L’importante è che Woody si astenga dal recitare, anche perché, scomparso il suo storico doppiatore Oreste Lionello, sarebbe fastidioso ascoltarlo con altra voce. D’altro canto, l’uomo è intelligente: a 76 anni, si diverte più a stare dietro la cinepresa, prestando i suoi tic, insieme alle giacche di tweed, i pantaloni kaki e le camicie azzurre, a personaggi “alleniani” incarnati da attori più giovani. Come il biondo Owen Wilson di “Midnight in Paris”, che fa Gil Pender, uno sceneggiatore hollywoodiano con ambizioni letterarie che approda nella Ville Lumière insieme alla futura sposa Inez per raggiungere i facoltosi e destrorsi genitori (gente da Tea Party) della ragazza.


Direte: ancora Parigi dopo Donen, Minnelli e decine di registi americani in trasferta all’ombra della Torre Eiffel? Sì. Però Allen, in bilico tra omaggio, oleografia e auto-ironia, trasforma lo spunto in un personale viaggio nel tempo che prima diverte e via via cattura. A quanto pare non solo il “sofisticato” pubblico europeo. La controprova viene dagli incassi statunitensi: per la prima volta, dopo tanti anni, un film di Allen ha incassato in patria quasi 60 milioni di dollari, essendo costato appena 17. Per dare un’idea rispetto agli ultimi due: “Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni” s’era fermato a 4, “Basta che funzioni” a poco più di 5.

Durante le riprese s’è molto chiacchierato dell’innocua comparsata di Carla Bruni, nei panni di una guida turistica che istruisce gli stranieri sotto il “Pensatore” di Rodin. Ma il film è nutrito di ben altre suggestioni e presenze. Indispettito da quella compagnia pedante e rozza insieme, il giovanotto innamorato della Parigi che fu si ritrova infatti ogni notte, come per incanto, proiettato nei prediletti anni Venti. Un sogno che si concretizza nello stupore crescente di Gil, messo a tu per tu con i suoi idoli culturali: Cole Porter che suona al piano “Let’s Do It”, Scott Fitzgerald e l’infelice Zelda, Ernest Hemingway che sentenzia «Non scrivi bene se hai paura di morire», Pablo Picasso, Gertrude Stein, Salvador Dalì fissato coi rinoceronti, Man Ray, Jean Cocteau, Josephine Baker, perfino Luis Buñuel, al quale suggerirà la situazione claustrofobica  di “L’angelo sterminatore”. 

Facile? Può darsi. Ma è il tono a fare la differenza. Guidato dalla soave Adriana, l’amante di Picasso, Braque e Modigliani incarnata da Marion Cotillard, Gil procederà a ritroso fino alla Belle Époque, incontrando perfino Lautrec e Degas, prima di accorgersi, appunto, che la mitizzata età dell’oro forse non esiste. «Voi siete surrealisti, ma io sono normale» si arrende l’americano di fronte a Dalì che arriccia il baffo e fa gli occhi da matto. E intanto ha rifilato a  Zelda una pasticca di Valium, la pillola del futuro, perché non si butti nella Senna. In fondo siamo tutti Gil, sembra dirci Woody: basta crederci e risvegliarsi in tempo. Se poi, sotto l’acquazzone, arriva anche una bella ragazza bionda, tanto meglio.
 
Michele Anselmi