L’angolo di Michele Anselmi 

“E come lo tengo questo carcere senza droga? Con le mentine?” s’incavola Bruno Testori, il roccioso direttore del “San Michele”, la galera dove vengono convogliati i detenuti più intrattabili d’Italia. Testori ha la faccia, la pelata, la grinta e il corpo tozzo di Luca Zingaretti, sempre in maglietta e maglione neri, tutt’altra pasta umana rispetto al siculo commissario Montalbano, benché schierato, ufficialmente, dalla stessa parte dello Stato.
Venerdì sera è partita su Sky Atlantic la miniserie in otto puntate “Il Re”, diretta da Giuseppe Gagliardi e scritta a otto mani da Stefano Bises, Peppe Fiore, Bernardo Pellegrini, Davide Serino. Io ho visto i primi due episodi (Sky non fa come Netflix che mette a disposizione l’intera serie) e m’è venuto da pensare che “Il Re” sia un po’ la versione pop e distesa, non vorrei dire stiracchiata, di “Ariaferma”, il bel film di Leonardo Di Costanzo con Toni Servillo e Silvio Orlando. Naturalmente il paragone finisce qui, perché la serie prodotta da Lorenzo Mieli insieme a Sky, usa l’ambientazione carceraria quasi “di frontiera” per raccontare una storia piena di omicidi, colpi di scena, rivelazioni, vicende familiari e vizietti privati.
Se avete visto, saprete. L’amico più caro di Testori, il suo braccio destro Nicola Iaccarino, viene ritrovato con la gola squarciata nel cortile dell’istituto penitenziario: chi è stato e perché, visto che l’ucciso sapeva gestire con una certa abilità i rapporti con i detenuti? I sospetti sembrano portare, sorprendentemente, a un boss slavo al quale Testori aveva delegato la “pace” in quel luogo infernale attraverso un oculato traffico di droga per evitare rivolte. E intanto la sostituto procuratore Laura Lombardo, chiamata per far luce sull’omicidio, comincia a sentire puzza di bruciato: per lei al “San Michele” vige una sorta di Sistema, di sicuro una Legge parallela pilotata dal direttore Testori. Uno che urlai ai suoi: “Dobbiamo usare la testa, non il culo, se vogliamo trovare chi ce l’ha ammazzato”.
Girata tra Civitavecchia, Torino e Trieste, “Il Re” promette sorprese a non finire, anche se sin dalle prime puntate Gagliardi, che fu regista delle tre serie su Tangentopoli volute da Stefano Accorsi, s’intuiscono la portata della posta in gioco e le dinamiche psicologiche dei personaggi.
L’atmosfera è volutamente cruda, realistica, feroce, gli ambienti sono rugginosi, fatiscenti, inospitali; il tutto per dare l’idea di un “mondo a parte” nel quale la Giustizia ha subito qualche speciale torsione. Vale anche per la recitazione, un po’ torva, a mezza bocca, diciamo all’americana (solo che siamo in Italia): Zingaretti è sempre Zingaretti anche se fa un buono/cattivo, Anna Bonaiuto la scaltra magistrata dalla faccia piuttosto strana, Isabella Ragonese la manesca guardia carceraria Sonia Massini, Giorgio Colangeli il morto al centro della delicata indagine, Barbora Bobulova l’ex moglie di Testori, Ahmed Hafiane il carismatico imam che guida i detenuti musulmani, Ivan Franek il boss slavo Lackovic che non la dice tutta (c’è pure Salvatore Striano, ex detenuto vero ormai attore professionista: non manca mai).

Michele Anselmi