L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per Cinemonitor

Mai fidarsi dei Golden Globe, a proposito degli Oscar. Capita di rado, infatti, che i cine-premi assegnati a Hollywood dalla stampa estera facciano da battistrada alle mitiche statuette, ben più pesanti in termini di consenso e sostanza. Pare difficile, quindi, che l’eroico “Boyhood” di Richard Linklater e il sofisticato “Gran Budapest Hotel” di Wes Anderson ripetano gli exploit di domenica scorsa. E tuttavia i due film, a loro modo entrambi eccentrici, compaiono nobilmente in molte delle candidature annunciate ieri dall’Academy alle 5.30 locali.
Salvo errori, “Grand Budapest Hotel” ha totalizzato 9 nomination, quante il superfavorito “Birdman” di Alejandro González Iñárritu; “The Imitation Game” di Morten Tyldum ne becca 8; “Boyhood” si ferma a 7, una in più di “American Sniper” di Clint Eastwood, a sorpresa primo in Italia sul fronte degli incassi ma desolatamente snobbato in patria. Gli altri tre titoli in lizza per il miglior film (chissà perché non rispettare la canonica cinquina solo per questa categoria) sembrano avere poche chance di vittoria. Sicché, a conti fatti, vedrete che la sfangherà “Birdman”, e sarà contento Alberto Barbera, perché proprio a Venezia 2014 la curiosa e visionaria commedia sul mestiere dell’attore cucita addosso al redivivo Michael Keaton ebbe la sua prima mondiale.
Del resto mancando il titolo capace di mettere tutti d’accordo, come l’anno scorso “12 anni schiavo” del nero Steve McQueen, i giurati dell’Oscar hanno organizzato un pranzo di gala che il 22 febbraio non dovrebbe riservare sorprese. Avrete notato: da qualche anno zio Oscar s’è fatto intellettuale e cinefilo, guarda poco al botteghino, simpatizza per i piccoli film più o meno indipendenti, prova a dettare la linea sul fronte del cinema d’autore transnazionale. Il che è pure una prova di vivacità e intelligenza. Così non sorprende che Marion Cotillard sieda nella cinquina riservata alle migliori attrice protagoniste, benché reciti in francese nel tosto film belga dei fratelli Dardenne “Due giorni, una notte”. Vale anche per il polacco “Ida” di Pawel Pawlikowski, davvero un’opera superiore per stile e intensità, infatti fioccano due nomination: per la migliore fotografia e per il miglior film straniero.
L’Italia stavolta non sederà a tavola. Escluso “Il capitale umano” di Paolo Virzì, che pure aveva chance di gareggiare nella categoria dove l’anno scorso trionfò “La grande bellezza” di Sorrentino, tocca alla costumista Milena Canonero, ormai di casa a Hollywood, rappresentare i colori nazionali per il fantasioso lavoro svolto su “Grand Budapest Hotel”. Inutile deprimersi, un anno va bene e tutti gridano al miracolo, alla rinascita italiana del cinema tricolore; un anno dopo nessuno ci si fila.
D’altro canto pure “L’amore bugiardo” di David Fincher, straordinario thriller sul disamore coniugale, è stato praticamente cancellato, se non fosse per l’attrice Rosamund Pike. In compenso, conciata da strega, Meryl Streep strappa l’ennesima nomination per “Into the Woods”. A che serve?

Michele Anselmi