L’angolo di Michele Anselmi

Inutile dire che alla Warner Bros Italia non hanno scelto a caso il giorno in cui mostrare a critici e giornalisti “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino. Cioè stamattina, martedì 23 gennaio. Poche ore dopo, infatti, sarebbe arrivata la conferma: sperata e attesa. L’opus n. 5 del quarantaseienne cineasta italo-algerino, che in originale si chiama “Call Me By Your Name”, ha ricevuto ben quattro candidature in vista della serata degli Oscar del 4 marzo, e nelle categorie che contano, pesano. Ovvero: miglior film, migliore attore protagonista (Timothée Chalamet), miglior sceneggiatura non originale (James Ivory), migliore canzone originale (“Mistery of Love” di Sufjan Stevens). Con la nomination per la migliore regia avrebbe fatto cinquina. Ma anche così, francamente, è andata benissimo per Guadagnino, poco conosciuto in patria, almeno fin ad ora, però assai apprezzato oltreoceano sin da quando girò il notevole “Io sono l’amore, con Tilda Swinton, seguito dal deludente “A Bigger Splash”.
Intanto il regista ha già realizzato il remake di “Suspiria” e tra un po’ l’aspetta, a mo’ di conferma definitiva, un filmone hollywoodiano interpretato da Jennifer Lawrence, “Burial Rites”. Di sicuro le quattro nomination daranno una mano al film, che esce nelle sale giovedì 25 gennaio, targato Sony-Warner.
Quanto al resto delle nomination, niente da dire sui nove titoli arrivati in finale, nella corsia più significativa. Sono “L’ora più buia” di Joe Wright, “Dunkirk” di Christopher Nolan, “Scappa – Get Out” di Jordan Peele, “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh, “Lady Bird” di Greta Gerwig, “The Post” di Steven Spielberg, “Il filo nascosto” di Paul Thomas Anderson, “The Shape of Water – La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro e appunto “Chiamami col tuo nome” di Guadagnino.
L’unica regista donna è Greta Gerwig, che nella vita fa soprattutto l’attrice, ma è già qualcosa considerata la ritrosia degli Oscar in materia: solo cinque, inclusa lei, in 90 anni di vita degli Oscar. Sul versante della quantità, vince per ora “The Shape of Water – La forma dell’acqua”, già Leone d’oro alla Mostra veneziana 2017, con ben 13 candidature; 8 sono andate a “Dunkirk” e 7 a “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Incuriosisce la presenza, nel mazzo prestigioso, di “Scappa – Get Out”, un curioso horror a basso costo ma ad alto tasso simbolico passato piuttosto fuggevolmente nella sale italiane. Speriamo che non sia lì solo perché regista e attore protagonista sono neri.
Magari non era proprio necessaria l’ennesima nomination, siamo a quota 21, andata a Meryl Streep per “The Post”, nelle sale italiane il 1° febbraio, ma a Hollywood sono fatti così, vige la coazione a ripetere, e bisogna pure riconoscere che nei panni dell’audace editrice del quotidiano “The Washington Post” è brava come sempre. Tuttavia, parere personale, questo dovrebbe essere l’anno di Frances McDormand, che giganteggia, senza gigioneggiare, nello straordinario “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. Sul versante maschile i giochi sono più aperti, anche se il Gary Oldman che si immerge nella stazza di Winston Churchill alle prese con il pericolo nazista dovrebbe piacere agli 8.500 giurati dell’Academy.
C’è chi suggerisce, ad esempio il sito di “Vanity Fair”, che il movimento femminile #MeToo, nato dopo le rivelazioni sulle malefatte sessuali di Harvey Weinstein, abbia finito col danneggiare anche James Franco, al punto di fargli perdere la candidatura per “The Disaster Artist”, dove appare nei bizzarri panni del regista e attore Tommy Wiseau. Non saprei proprio dire se sia così. L’argomento, piuttosto scottante, s’è abbattuto come un maglio sugli Oscar, riaprendo allo stesso tempo, pure con accenti discutibili o paranoici, il dibattito comunque necessario sulle molestie sessuali e i cosiddetti comportamenti “inappropriati”.

Michele Anselmi