L’angolo di Michele Anselmi | Scritto per “Cinemonitor”
“La prima volta di Zoro a Venezia”, titola un quotidiano. Magari anche l’ultima, visti i risultati così così. Inserito nella Settimana della critica come evento speciale, “Arance & Martello”, da sabato 6 settembre nelle sale, ambisce ad essere l’anello mancante tra Alberto Sordi e Spike Lee, ma forse è solo un passo più lungo della gamba. Diego Bianchi, 42 anni, in arte Zoro, con una erre, è un talento naturale: blogger, giornalista, comico autore e conduttore tv su Raitre, spiritoso osservatore dei tormenti del Pd, già militante di quel partito e insieme capace di sfotterlo affettuosamente “da dentro”, con l’aria di chi un po’ ci soffre. Spinto dai produttori/sodali Andrea Vianello e Domenico Procacci, il vulcanico reporter ha cominciato a pensare al cine-progetto tre anni fa: per questo, forse, una didascalia avverte che stiamo vedendo “un film in costume sul 2011”. Altrimenti non si capirebbe perché, nella giornata più torrida dei quell’estate, alcuni iscritti al Pd stiano raccogliendo senza troppa convinzione 10 milioni di firme per mandare via Berlusconi.
Il film, alla maniera dei web-reportage di Zoro, gioca tra sfottò, autobiografismo, citazionismo sfrenato, romanesco colorito, doppi sensi e belle fanciulle con le curve in evidenza.
«Come tanti mi sono sempre cibato di cinema» premette l’autore, e infatti eccolo pantografare con parecchie licenze, ma scegliendo la stessa fotografia a tinte arancioni, il prediletto “Fa’ la cosa giusta” di Spike Lee, anno 1989. Una giornata bollente, un posto chiuso a guisa di microcosmo che sta per esplodere, un disc-jokey che dà il buongiorno e scandisce gli eventi destinati, in questa chiave quirite, «a diventare paradigma satirico della storia recente del nostro Paese».
Il quartiere newyorkese di Bedford-Stuyvesant diventa qui il romano San Giovanni, dalle parti di via Orvieto, dove vive davvero Zoro. Armato della tele camerina digitale, vincendo pigrizia e calura dopo aver infiocinato lo slogan di Bersani “Rimbocchiamoci le maniche”, il giornalista si immerge nel mercato rionale sotto casa a rischio chiusura per decisione del sindaco Alemanno e del potente assessore Tredicine, che qui diventa Quattordicine.
C’è rabbia e insofferenza tra i banchi, con relative spinte razziste, paura di non farcela, concorrenze sleali. La raccolta di firme anti-Berlusconi nella sezione del Pd si trasforma in un referendum sulla chiusura del mercatino, con effetti devastanti, tra il grottesco e il drammatico: finti ostaggi, armi partigiane che spuntano fuori dai muri, fascistucoli che vorrebbero appiccare il fuoco, poliziotti che sbroccano, il sindaco tra croci celtiche e pragmatismo di governo, infine uno sparo.
Zoro inquadra le sue ragazze ben tornite e sculettanti con l’aria birichina di chi si diverte a scherzare su tutto, anche sul sesso, più evocato che praticato. Si finisce con “Odio l’estate” in una versione jazz, strumentale, sofisticata. Urgono sottotitoli per afferrare alcune battute se non siete di Roma. Di sicuro 101 minuti sono troppi.
Michele Anselmi